Questo non è un articolo che parla di politica o un sermone pro o contro qualcuno, ma l’esposizione di alcuni dati di finanza pubblica per fare qualche riflessione.
Il contatore del debito pubblico potete scaricarvelo sul vostro sito o consultarlo ogni minuto, ma vediamo cosa è successo a questo indicatore negli anni considerati 2012 – 2017
fonte: Banca D’Italia – DEBITO DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE
fonte: BDI – DEBITO DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE (€ milioni)
2011 (1.907.612) INCREMENTO
2012 1.989.934 82.322
2013 2.069.841 79.907
2014 2.137.320 67.479
2015 2.173.329 123.633
2016 2.219.546 46.217
2017 2.263.056 43.510
INCREMENTO TOTALE DEL DEBITO DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE ANNI 2012 – 2017 = 355.444 MILIONI DI EURO.
Andiamo ora sul sito dell ISTAT e vediamo la dinamica del Prodotto interno lordo ai prezzi di mercato nello stesso periodo:
(fonte: ISTAT http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCN_PILN)
fonte: ISTAT
2011 ( 1.637.463 ) incremento
2012 1.613.265 – 24.198
2013 1.604.599 – 8.666
2014 1.621.827 17.228
2015 1.652.622 30.795
2016 1.680.948 28.326
2017 1.716.934 35.986
INCREMENTO TOTALE DEL PRODOTTO INTERNO LORDO AI PREZZI DI MERCATO 2012 – 2017 = 79.471 MILIONI DI EURO.
L’incremento del PIL nel periodo è del 4,85%, ma i prezzi sono cresciuti in questo periodo e l’indice di rivalutazione monetaria 2012 – 2017 è stato del 3,70%, cosicché la crescita reale annuale è stata veramente prossima allo zero, ed anche inferiore allo zero come mostra la tabella ISTAT esaminata sopra dell’andamento del PIL se richiesta a prezzi concatenati 2010: c’è stato in effetti un decremento del PIL 2017 su 2011 di -19.186 milioni di euro
Dunque nel periodo di austerity dei conti pubblici che abbiamo appena vissuto, c’è stata una crescita zero ed un incremento del debito, dal gennaio 2012 ad oggi, di 395 miliardi di euro.
Perché ci siamo ulteriormente indebitati? semplice: paghiamo molti interessi sul debito pubblico:
2012 |
2013 |
2014 |
2015 |
2016 |
2017 |
|
Debito pubblico |
1.989.421 |
2.069.692 |
2.137.320 |
2.173.387 |
2.219.546 |
2.263.056 |
Interessi passivi (consolidated) |
84.086 |
77.879 |
74.377 |
68.018 |
66.440 |
65.641 |
Prodotto interno lordo ai prezzi di mercato (PIL) |
1.614.672 |
1.606.895 |
1.621.827 |
1.652.622 |
1.680.948 |
1.716.935 |
Gli interessi passivi consolidati nel periodo 2012 – 2017 sono stati ben 436.441 milioni di euro, quindi un importo superiore al debito prodotto nello stesso periodo.
Tuttavia abbiamo risparmiato rispetto al 2011, quando a causa dello spread i costi per interessi sono balzati a 84 miliardi di euro: un risparmio di circa 20 miliardi l’anno.
Tuttavia parte di questo risparmio è tornato proprio al settore finanziario, cioè a quei soggetti ai quali corrispondiamo gli interessi passivi.
Quanto ci siamo indebitati per salvare le banche, segnatamente MPS, Banche Venete e quattro Banche?
La realtà è che non si hanno cifre precise, non tanto perché sia difficile trovarle, se non per gli addetti ai lavori, ma perché i dati del debito pubblico, a volte, sono come le scale di Hogwarts: si muovono.
Ed è il caso del salvataggio delle Banche Venete, dove era stata l’Istat a chiedere lumi all’Eurostat sulla correttezza dell’operazione, generando la risposta, negativa purtroppo, proprio di questi giorni: risposta che vale 4,7 miliardi di deficit e 11,2 miliardi di debito in più. Sul debito ricadono infatti le garanzie statali, fino a 6,4 miliardi potenziali, concesse a Intesa Sanpaolo guidata dall’amministratore delegato, Carlo Messina, a copertura dei rischi sui crediti delle banche in liquidazione. Rischi che, spiega Eurostat, pendono sullo Stato, per cui le due bad bank rientrano a pieno titolo nel perimetro pubblico. Questo significa, rispetto ai dati diffusi dall’Istat all’inizio di marzo, che il disavanzo 2017 pesa sul Pil per due-tre decimali in più e anche l’incidenza del debito sale più o meno della stessa misura.
Nell’ultimo rapporto sul debito pubblico, la Banca d’Italia prende atto e scrive: “Rispetto ai dati pubblicati lo scorso 15 marzo (2018 ndr), il debito del 2017 è stato rivisto al rialzo di circa 7 miliardi (cfr. tabella), principalmente a seguito del parere dell’Eurostat sul trattamento statistico dell’operazione di liquidazione coatta amministrativa delle due banche venete (cfr. Commissione europea, Recording of the winding down of Banca Popolare di Vicenza S.p.A. and Veneto Banca S.p.A., 31 marzo 2018). Secondo le indicazioni metodologiche fornite dall’Eurostat, l’operazione relativa alle banche venete ha un impatto complessivo sul debito pubblico di 11,2 miliardi, dei quali 4,8 connessi con il trasferimento a Banca Intesa (effetto diretto) e 6,4 con la riclassificazione delle passività delle liquidazioni di Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca (effetto indiretto). Poiché i dati diffusi il 15 marzo includevano già l’effetto diretto, la revisione riguarda l’effetto indiretto (6,4 miliardi).”
E le altre banche? Riporto quanto leggo su il fact-checking de lavoce.info in risposta critica ad un articolo del Fatto Quotidiano che parlava di una spesa di 60 miliardi di euro.
“A fine 2016, il governo Gentiloni – con il decreto del 23 dicembre 2016 – chiede al Parlamento l’autorizzazione di sforare gli obiettivi di finanza pubblica previsti per la creazione di un fondo di 20 miliardi di euro. Lo scopo è operare “sottoscrizioni e acquisto di azioni effettuate per il rafforzamento patrimoniale” e garantire “passività di nuova emissione e […] l’erogazione di liquidità d’emergenza a favore delle banche”. Pochi giorni dopo Monte dei Paschi di Siena chiede l’intervento pubblico per la ricapitalizzazione precauzionale. Dopo aver ottenuto l’autorizzazione della Bce, parte il piano di circa 8,3 miliardi di euro: 3,9 pubblici per l’acquisto di nuove azioni e i rimanenti 4,5 richiesti ad azionisti e creditori subordinati. Come spiega l’aggiornamento del Def di settembre 2017 (da pagina 49), di questi ultimi un miliardo e mezzo avrebbe potuto essere rimborsato dallo Stato: così è accaduto, se oggi la partecipazione del ministero dell’Economia in Mps raggiunge già quasi il 70 per cento.
I soldi spesi sono dunque saliti a 5,4 miliardi di euro.”
Fondo Atlante (andata e ritorno)
Altro intervento, questa volta congiunto tra pubblico e privato, è stata la creazione del fondo Atlante e poi di fondo Atlante 2 (oggi chiamato Italian recovery fund), nel 2016. L’obiettivo era intervenire nelle crisi bancarie, sostenendo la ricapitalizzazione delle banche in difficoltà e rilevando i crediti in sofferenza, rimanendo nel perimetro delle regole europee. Ai fondi hanno partecipato per la maggior parte banche private, ma anche enti che – seppur di diritto privato – hanno forte caratterizzazione pubblica. Come Cassa depositi e prestiti, che ha investito nel primo fondo Atlante 400 milioni di euro (azzerati) e altrettanti in Atlante 2. Anche Poste Vita, compagnia di assicurazione del gruppo Poste Italiane, ha partecipato a entrambi i fondi con una quota di 250 milioni ciascuno (quella per Atlante 1 è oggi azzerata). Le fonti sono articoli de Il Sole 24 Ore (1 e 2). Il rosso accertato in questo caso è quindi di 650 milioni di euro.”
Ma siamo certi che il fondo Atlante 2 non faccia la fine del n. 1? Intanto aggiorniamo il contatore con gli altri 650 milioni investiti in questo veicolo, per un totale di 1,3 miliardi di euro.
Dunque abbiamo: 11,2 miliardi delle banche Venete, 5,4 miliardi del MPS, 1,3 del fondo Atlante ed arriviamo ad un costo di circa 18 miliardi di euro.
In conclusione: dal 2012 ad oggi il debito pubblico, lungi dal diminuire, è cresciuto di 395 miliardi di euro, lo Stato Italiano ha pagato alla finanza nazionale ed internazionale interessi per 436 miliardi ed ha provveduto a ricapitalizzarne alcune con 18 miliardi di euro, ed oggi Moody’s paventa un downgrade del sistema paese.
E’ un po’ quello che succede a molti imprenditori, che trovatisi in difficoltà, si sono indebitati con il sistema bancario, hanno trasferito ad esso ingenti risorse in conto interessi, non hanno diminuito il loro debito, che anzi è peggiorato ed è migrato piano piano dallo stato di incaglio a sofferenza, anzi – come si definiscono i crediti deteriorati da qualche anno – da unlikely to pay, a scadute sconfinate, a forborne, ed infine a sofferenze non performing.
E la cosa non piace né agli imprenditori né alle banche: ed allora – la riflessione – se questa cosa non va, perché – sia sul micro che sul macroeconomico – continuiamo a fare le stesse cose aspettandoci risultati diversi?
Categorie:Crisi bancarie in Italia
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