(è domenica. di Giacomo Obletter)
Nei miei post sul blog di questo sito e sul mio blog personale su fb ho spesso richiamato il concetto di entropia associato a vari ambiti, coscienza , psicologia , modelli organizzativi d’impresa per il semplice fatto che le leggi dell’universo, nel caso specifico della termodinamica, sono applicabili anche agli ambiti sociali, nella misura in cui questi sono fatti di cose e persone, cicli vitali di vita e morte, energia e sfruttamento.
Ogni prodotto, organizzazione, impresa – proprio perché intimamente connessi a cose e persone – hanno un loro ciclo vitale, influenzato dall’evoluzione dei bisogni e della tecnologia: nascono, si sviluppano, declinano e scompaiono, nell’eterna lotta contro l’entropia dell’universo.
Ed è proprio questa lotta per raggiungere “l’efficienza del sistema” (cioè in ultima analisi la riduzione dell’entropia di esso) che accomuna l’attività umana e quella di ogni altro sistema fisico e biologico: ma sappiamo che nell’universo nulla si crea e nulla si distrugge, cosicché questa lotta se da un lato garantisce ad alcuni la sopravvivenza, determina per altri un progressivo aumento dell’entropia, fino a raggiungere tendenzialmente la condizione prevista dal terzo principio della termodinamica, la morte assoluta (noto come principio di Nernst, afferma che allo zero assoluto, l’entropia di un cristallo puro è uguale a zero).
Assistiamo sempre più di frequente, ahimé, a scelte aziendali di delocalizzazione, da ultimo dalla Embraco di Torino (di cui tutti parlano) alla Honeywell di Atessa (di cui poco si legge, ma che è ugualmente drammatica), ma a cosa effettivamente assistiamo? A scelte di un sistema, la multinazionale, volta ad un recupero di efficienza (minore entropia) a scapito di altri micro sistemi che vedono perdere la loro (maggiore entropia) e contemporaneamente alla manifestazione di fenomeni di auto organizzazione locale (le proteste e l’intervento dello Stato).
Ancora, guardate cosa succede nell’ambito professionale di tutti coloro che prestano quei servizi cosiddetti intellettuali, avvocati, commercialisti, ingegneri, architetti, ecc. ecc. : il contenuto professionale di queste prestazioni viene sempre più insidiato da sistemi informatici sostitutivi di tutta la componente servizi di cui queste prestazioni necessariamente di compongono e nel prossimissimo futuro anche il contenuto più propriamente consulenziale sarà insidiato dalle app di intelligenza artificiale (a tal proposito leggi il mio articolo Avvobot intelligenza artificiale e professione forense o l’altro articolo Banche, assicurazioni e multiutilities: l’ultimo cliente?
Anche qui si intravede il meccanismo di recupero di efficienza di qualcuno a scapito di altri, e l’immediata risposta in termini di autoregolazione locale: la disciplina dell’equo compenso!
Scorrendo su internet studi a sostegno di questa visione delle cose mi sono imbattuto in un interessante articolo di Roberto Pecchioli pubblicato su Ereticamente.net che richiama il pensiero di un economista filosofo non molto conosciuto, Nicholas Georgescu Roegen, e le sue riflessioni su “la bioeconomia e la legge dell’entropia”
Sostiene questi che “la scienza economica ha eliminato la dimensione ecologica dal suo orizzonte” e che ciò l’ha ridotta a sapere astratto, virtuale, disgiunto dalla realtà della biosfera. Recuperare la dimensione “biologica” dell’economia (òikos-nomia): legge della casa, del proprio ambiente) significa porre radicalmente in discussione duecento anni e più di dogmatica liberale e marxista”
“La realtà afferma la finitezza del sistema Terra e delle sue risorse, dunque il paradigma produttivista è irrevocabilmente battuto sul terreno della realtà: se infatti il divenire economico è attraversato da un processo di produzione, distribuzione ed eliminazione di flussi di energia e materia attinte dall’ambiente naturale – il “sistema” chiuso entro cui inevitabilmente si svolge la vicenda umana, in cui vigono il primo ed il secondo principio della termodinamica, – ne consegue che il metabolismo della società è connesso all’evoluzione biologica, chimica e geologica del pianeta.”
“Di qui la capitale importanza, anche in economia, del concetto di “entropia“, termine coniato dal Clausius nel 1864 (“Meccanica del calore”), che può essere definita come la misura del grado di equilibrio raggiunto da un sistema in un dato momento. A ogni trasformazione del sistema che provoca un trasferimento di energia (ovviamente senza aggiungere altra energia dall’esterno), l’entropia aumenta, producendo un disordine generale, il cui esito è, in astratto, la fine stessa.”
“L’intuizione vincente di Georgescu è che si può considerare un “sistema” anche l’intero pianeta, e la conclusione è che un’economia votata alla sovrapproduzione ed allo sfruttamento intensivo delle risorse, è, termodinamicamente, un suicidio per accumulo di entropia, ovvero di disordine.”
L’articolo , a sostegno delle tesi bioeconomiche, richiama almeno due disastri, uno irreparabile, l’altro ancora parzialmente rimediabile se la battaglia delle opinioni pubbliche sarà vincente: il prosciugamento del lago di Aral, nell’Asia ex sovietica e la tecnica del “fracking” per l’estrazione del gas di scisto.
“Il lago di Aral non esiste più: aveva una superficie di 68.000 km quadrati (Piemonte, Lombardia e Veneto insieme), perché gli economisti sovietici dei piani quinquennali decisero di deviarne gli emissari al fine di irrigare ampie zone agricole e di alimentare possenti apparati industriali. Uno di loro arrivò a dire che il lago era un errore della natura, e che, tutt’al più, poteva essere utilizzato – nella modesta porzione sopravvissuta – come risaia. Dopo decenni di prelievi e di follie economiche il lago non c’è più, il clima nella zona è più freddo e secco, migliaia di attività umane, culture materiali millenarie degli abitanti sono scomparse, migrazioni hanno sfigurato il panorama umano della zona.
Entropia, termodinamica? Sì, anche, e convinzione di essere noi, creature, più forti del Creatore, o, se preferite, di Gaia.
Negli Stati Uniti ed in Canada, la fame di idrocarburi sta generando distruzioni apocalittiche per estrarre, a colpi di pressione sul sottosuolo, il gas di scisto. Per ogni pozzo – sono già migliaia – ci vogliono dai 20 ai 29 mila metri cubi all’anno di acqua, che torna in superficie come riflusso velenoso per il settanta/ottanta per cento. Quali sono e saranno i danni entropici alle risorse idriche, quali le conseguenze sulla salute delle popolazione, quale, infine, ma scusate se è poco, le possibilità di smaltire o riciclare i residui? Dottrine diverse, stessi terribili esiti.
Potremmo aggiungere la deriva di un vero e proprio continente di plastica nell’Oceano Pacifico, gli esperti lo hanno battezzato North Pacific Gyre, un vortice esteso per circa 34 milioni di chilometri quadrati, più dell’Africa.
Georgescu Roegen aveva già risposto: per salvarci, dobbiamo sviluppare una bioeconomia, affiancando alla contabilità dei flussi di denaro, una mappa delle risorse naturali materiali e delle scorie fisiche per il cui ottenimento e smaltimento dovremo spendere crescenti quantità di energia e, naturalmente, tanti soldi. Solo di recente si è fatta strada l’idea che la produzione non sia sempre un fatto positivo, che le riserve non sono infinite, l’energia non può essere recuperata (è fisica …), le scorie non riescono ad essere smaltite.”
Il concetto che mi affascina e colpisce da questi studi e riflessioni è che per ogni attività, che noi tutti svolgiamo quotidianamente nelle nostre attività professionali e di impresa, nel mentre tendiamo al raggiungimento dell’efficienza (per il profitto o per la semplice sopravvivenza) nello stesso istante dissipiamo energia nell’ambiente e così facendo siamo i generatori di due fenomeni: il primo, intuitivo, è che contribuiamo all’aumento dell’entropia di tutto ciò che prossimamente ci circonda, il secondo è che inconsapevolmente generiamo fenomeni di auto organizzazione locale. E sono proprio questi che ci dovrebbero preoccupare.
Eh già! Non pensiate che l’ambiente (ed in questa accezione io vedo per primi i nostri collaboratori ed i nostri clienti) stiano lì a guardare ed a rimanere inerti all’immissione di entropia nel loro sistema: immediatamente generiamo una reazione uguale e contraria volta a diminuire l’entropia del loro sistema a danno di altri o di noi stessi.
Inevitabile? Questo certamente, ma non ingestibile.
E’ questo il punto: la complessità del nostro sistema sociale e culturale (che ci distingue dai cani del giardino) può essere la soluzione stessa per gestire queste dinamiche nella direzione di garantire un giusto livello di entropia per noi e per l’ambiente.
E’ un po’ un richiamo alle dinamiche dominanti di John Nash, di cui ho già trattato in altro articolo di questo blog a proposito dei cani del giardino in base alla quale la strategia vincente è quella migliore per sé e per il gruppo: e allora, perché non potremmo applicare gli stessi principi per noi e l’ambiente?
L’equilibrio di Nash non é la soluzione migliore per tutti. Se è vero che in un equilibrio di Nash il singolo giocatore non può aumentare il proprio guadagno modificando solo la propria strategia, non è affatto detto che un gruppo di giocatori, o, al limite, tutti, non possano aumentare il proprio guadagno allontanandosi congiuntamente dall’equilibrio”: ad esempio cacciando il padrone della fattoria, come hanno fatto i maiali di Orwell, oppure dando una diversa destinazione ad alcuni dei cani del Giardino, come abbiamo pensato noi umani.
Ciò è possibile ma a condizione che si instauri una cooperazione tra i giocatori, vale a dire che tutti agiscano non col fine di ottenere il miglior risultato per sé, ma di ottenere il miglior risultato per il gruppo, e quindi, indirettamente, ottenendo un risultato migliore anche per sé.
Tuttavia spesso la razionalità collettiva contrasta con quella individuale, e nella maggior parte dei casi è necessario un accordo vincolante tra i giocatori (e quindi una istituzione che vigili su tale accordo) ed una sanzione nei confronti di chi non lo rispetta, riducendo quindi il profitto del singolo, se esso si allontana dalla combinazione di strategie che garantisce a tutti il miglior risultato, affinché nessuno trovi preferibile defezionare.
E’ questo che dobbiamo fare, e possiamo farlo proprio perché siamo parte di una società complessa con un elevata cifra culturale.
“In questo senso – concludendo con Georgescu Roegen – la bioeconomia offre un approdo idoneo a disvelare l’origine biologica dei fatti economici e la dipendenza dell’umanità dalle risorse naturali, talvolta abbondanti, ma certo non infinite. Infine, il pensiero economico, attraverso di essa, ritrova il suo posto naturale e la sua ispirazione originaria, accanto alle scienze naturali, alla fisiologia ed all’agronomia (Jacques Grinevald).
Nicholas Georgescu Roegen riassume i tre punti essenziali della sua teoria:
- la forte parentela tra il processo economico ed il dominio biologico;
- la visione dell’economia come superamento evolutivo della biologia da parte della specie umana;
- il riconoscimento che i due saperi sono governati specificamente dalla legge dell’entropia.”
“La materia energia, cioè le risorse naturali, è caratterizzata da bassa entropia, ma negli scarti c’è solo disordine, dunque alta entropia, degradazione, dissipazione. Le risorse naturali possono passare attraverso il processo economico una sola volta: lo scarto resta irreversibilmente tale e, del resto, nessuna scienza naturale può dare conto della “scarsità”, giacché essa è un concetto connotato in senso antropocentrico, ossia siamo noi a ritenere scarso o meno qualcosa in base alle nostre capacità, tecniche, esigenze, tecnologie.
Alla fine, dobbiamo restituire all’umanità il senso comunitario, la semplicità gioiosa, la convivialità, lo sguardo proteso verso l’alto che i materialismi hanno soffocato nelle menzogne della “liberazione”, del consumo, dell’egoismo.
Riconquistare lo spirito. Sfuggire al sordido destino zoologico del “produci, consuma, crepa” “.
In conclusione vi ripropongo la chiosa finale dell’articolo di Pecchioli, sempre straordinariamente attuale:
“O frati”, dissi, “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia
d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza“.
Ulisse contrappone il modo di vivere materiale e vegetativo degli animali a quello razionale e nobile dell’uomo
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Alcune persone, ancora troppo poche a dire il vero, hanno consapevolezza che la vita del genere umano dipende dal benessere di quedto pianeta. Ma altri invece sono ancora ignari e non fanno che sfruttarlo e distruggerlo. Purtroppo è veramente faticoso far cambiare loro idea e quindi a volte sembra tempo sprecato ma dobbiamo tentare lo stesso.
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