L’Islanda: un’isola di di 320 mila abitanti che si è resa protagonista di una rivoluzione tanto dirompente quanto silenziosa, i cui esiti hanno portato alla sua recente storia politica che definire agitata è un eufemismo, con tre elezioni politiche in quattro anni ed un governo recentemente insediato pieno di contraddizioni e con una maggioranza traballante.
Ma la sua storia può farci riflettere, non tanto per i punti di contatto che pure possono trovarsi con le altre esperienze politiche europee (Grecia, Portogallo, Italia) , ma per cercare di seguire dove porta il filo di quel sentiment che vuole in primo piano la democrazia diretta nel territorio del web.
Il paese aveva attirato capitali stranieri con politiche finanziarie spregiudicate ed investitori da tutto il mondo, ma in particolare dall’Olanda e il Regno Unito, avevano investito in questo paradiso finanziario.
Putroppo la crisi del 2008, come tutte le crisi finanziarie, presentò il conto all’Islanda e quel che ne seguì, che potete leggere in modo dettagliato su più di un sito, fu una catastrofe finanziaria ed una rivoluzione silenziosa del popolo, perché il paese si rifiutò di pagare i debiti contratti dalle banche.
Nel 2008 le tre principali banche del paese caddero in fallimento e vennero nazionalizzate, crollò la moneta locale che perse l’85 per cento del suo valore ed il paese fece bancarotta: il governo cercò di far digerire al popolo un piano di rientro in quindici anni che avrebbe gravato su ogni cittadino, ma nel 2010 il popolo, convocato in referendum, con il 93 per cento delle preferenze rigettò al mittente la proposta del governo. Seguirono le ritorsioni della comunità internazionale, ma il governo fu costretto a furor di popolo ad indagare sulle responsabilità dei banchieri e dei politici sul crollo finanziario. L’Interpool emise un ordine internazionale di arresto contro l’ex-Presidente della Kaupthing Bank, Sigurdur Einarsson. Gli altri banchieri implicati nella vicenda abbandonarono in fretta l’Islanda.
Il paese subì una fortissima mobilitazone democratica, che potete approfondire visionando il Film Documentario di Cyril Dion, Mélanie Laurent “Domani” ( Francia, 2015) e fu allora che partì l’esperimento della costituzione on line.
Venne eletta un’assemblea costituente composta da 25 cittadini che presero l’impegno di riscrivere on line la costituzione. Chiunque poteva seguire i lavori, le riunioni del Consiglio erano trasmesse in streaming online e chiunque poteva commentare le bozze e lanciare da casa le proprie proposte.
Venne messo in discussione il principio per cui il processo costituente debba essere opaco ed esclusivo (i caminetti ?) ed esaltata la democrazia diretta ed on line su internet, una wikicostituzione che da molti è stata considerata la vera svolta della democrazia 2.0
Purtroppo, dopo che il 29 luglio 2011 la Consulta aveva presentato al Parlamento la bozza della nuova Costituzione e che il 20 ottobre 2012 era stata approvata anche tramite un referendum popolare, il testo si è arenato in Parlamento. (leggi di più su https://www.ilpost.it/2014/08/01/costituzione-islanda-fallimento/)
E che è successo dopo? I governi che seguirono quel periodo furono travolti dagli scandali ed il paese andò alle elezioni tre volte in quattro anni.
Nel 2012 nacque Il Partito Pirata, i cui principali temi erano la democrazia diretta, la riforma del diritto d’autore, e la libertà di informazione.
Le elezioni parlamentari in Islanda si sono tenute una prima volta il 27 aprile del 2013 ed hanno visto prevalere il Partito dell’Indipendenza di Bjarni Benediktsson, che, tuttavia, ha ottenuto lo stesso numero di seggi del Partito Progressista. A seguito delle elezioni, Primo ministro è divenuto Sigmundur Davíð Gunnlaugsson, esponente del Partito Progressista. Il partito Pirata prese poco più del 5%.
Ma nel marzo 2015 secondo i sondaggi il pirata era il primo partito d’Islanda, al 23,9%: il primo ministro Sigmundur Davíð Gunnlaugsson, appartenente al Partito Progressista, fu coinvolto nel grande scandalo dei Panama Papers e sostituito temporaneamente alla guida del governo da Sigurður Ingi Jóhannsson del suo stesso partito, e nell’aprile 2016 la percentuale dei pirati si alzò al 43%, con il Partito dell’Indipendenza allo 21.6%.
Nonostante questi dati, alle elezioni del 29 Ottobre 2016 il Píratar prese il 14,48% dei voti per un totale di 10 seggi su 63, dietro solamente ai Verdi (15,31%) e al Partito dell’Indipendenza (29,00%).
Ma il governo che ne derivò ebbe vita breve, a causa di un enorme scandalo di pedofilia e abuso su minori che ha travolto il padre del primo ministro: le nuove elezioni politiche in Islanda si sono tenute il 28 ottobre 2017 ed il 30 novembre 2017 il Partito dell’Indipendenza, Il Partito Progressista e I Verdi hanno trovato un accordo che fa diventare primo ministro d’Islanda Katrìn Jakobsdòttir con una maggioranza di 33 seggi su 69 dell’Athing.
La solidità del nuovo governo sarà messa alla prova soprattutto dai compromessi che riusciranno a raggiungere la Sinistra e il Partito dell’Indipendenza. Reuters, per esempio, fa notare che «mentre i due partiti sono d’accordo sull’investire nuove risorse nel welfare, nelle infrastrutture e nel turismo, non sanno ancora come raccoglierle. La Sinistra vorrebbe tassare di più i ricchi, gli immobili e la potente industria della pesca, mentre il Partito dell’Indipendenza vorrebbe spostare dei fondi previsti per sostenere il settore bancario».
Una storia travagliata che ci dice che al democrazia 2.0 è ancora all’alba del suo ciclo vitale.
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