Il contribuente che, a sua insaputa, sia parte di un meccanismo di frode fiscale internazionale, può dimostrare la sua buona fede e non essere sanzionato per avere utilizzato le fatture incriminate ricevute.
Giurisprudenza nazionale e comunitaria
La giurisprudenza della Cassazione (Cassazione civile sez. trib.: 06/02/2015 n. 2234) ha avuto modo di precisare quanto segue:
un soggetto che “sapeva o avrebbe dovuto sapere che con il proprio acquisto partecipava ad una operazione che si iscriveva in frode all’IVA” non può allegare la propria buona fede a garanzia dei diritti di detrazione o rimborso vantati in relazione alle operazioni compiute (cfr. Corte giustizia CE, sent. 6.7.2006 in cause riunite C- 439/04 e C-440/04, Kittel e Recolta). La applicazione del principio di buona fede a tutela del contribuente ingannato dall’illecito commesso dalla parte con la quale ha realizzato la operazione risultata imponibile, è stata affrontata dal Giudice comunitario con specifico riferimento alle operazioni di cessione intracomunitarie per le quali la eliminazione delle barriere doganali tra gli Stati membri ha determinato la insorgenza della necessità di individuare procedure idonee a consentire agli operatori di verificare “ex ante” la regolarità fiscale delle operazioni che vanno a compiere, nonchè la esigenza di definire i limiti di riparto, tra contribuente e Fisco, del rischio tributario determinato dalla condotta illecita del terzo (cfr. Corte giustizia 27.92007 causa C-409/04, Teleos, punto 58; Corte giustizia 21.2.2008 causa C-271/06, Netto Supermarkt GmbH, punto 28). Il punto di equilibrio stato individuato dalla Corte di giustizia nella duplice condizione:
1 – della “buona fede” (che deve desumersi non soltanto dalla oggettiva estraneità del soggetto alla frode fiscale ma anche dalla ignoranza incolpevole delle intenzioni frodatorie attuate dall’acquirente o da terzi) che rimane, invece, esclusa laddove, dalle circostanze concrete, emergano indizi tali per cui il cedente, secondo una efficace sintesi verbale, “sapeva o avrebbe dovuto sapere” che l’operazione intracomunitaria veniva ad iscriversi in una frode fiscale (cfr. Corte giustizia 11.5.2006, causa C- 384/04, Federation of Technological Industries, punto 31-32 secondo cui la dimostrazione che il soggetto “era a conoscenza del fatto, o aveva ragionevoli motivi per sospettare che tutta o parte dell’imposta dovuta per tale cessione, ovvero per qualsiasi altra cessione precedente o successiva dei medesimi beni, non sarebbe stata versata” può essere data anche mediante prove presuntive semplici – juris tantum -, riversandosi in caso sul contribuente l’onere della prova contraria; Corte giustizia 21.6.2012 cause riunite C-80/11 e C- 142/11, Mahageben kft e Peter David, punto 50 e Corte giustizia 6.9.2012 causa C-324/11, Gabor Toth, punto 50-51, che precisano come la prova presuntiva debba essere fondata su “elementi oggettivi” e cioè indizi concludenti in ordine alla esistenza di una situazione che in quanto caratterizzata da irregolarità, anomalie, incompletezza informativa, imponeva al soggetto passivo di esperire ulteriori verifiche in ordine alla regolarità fiscale del operazione );
2- della “preventiva” adozione da parte del contribuente di tutte le misure ragionevolmente esigibili al fine di assicurarsi che l’operazione che deve essere effettuata non lo conduca a partecipare ad un’evasione tributaria (cfr. Corte giustizia 6.7.2006, causa C- 439/04 e C-440/04, Kittel punto 51; Corte giustizia 21.6.2012 cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahageben kft e Peter David, punto 54): tale secondo elemento è all’evidenza strumentale alla dimostrazione della incolpevole ignoranza del fatto illecito altrui e non coincide con il mero esatto adempimento degli obblighi formali di legge richiesti dallo Stato membro per la regolare esecuzione della operazione (come la emissione e ricezione di una fattura dotata dei prescritti requisiti formali o le annotazioni nei registri contabili) che costituisce, invece, soltanto il presupposto necessario (in quanto in difetto della regolarità formale della operazione la condotta del terzo non riveste carattere decettivo) per procedere all’accertamento della condotta diligente prestata nel caso concreto (cfr. Corte giustizia 27.9.2007, causa C-409/07, Teleos , punti 65- 66; Corte giustizia 16.12.2010, causa C- 430/09 Euro Tyre Holding BV, punto 38; Corte giustizia 6.9.2012 causa C-273/11, Mecsek Gabona Kft, punti 48-50).
La Giurisprudenza nazionale si colloca nel quadro di quella della Corte di Giustizia Europea che ha avuto modo di affermare anche i seguenti principi:
La sesta direttiva 77/388/CEE, del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva, 95/7/CE del Consiglio, del 10 aprile 1995, deve essere interpretata nel senso che spetta alle autorità e ai giudici nazionali opporre a un soggetto passivo, nell’ambito di una cessione intracomunitaria, un diniego del beneficio dei diritti a detrazione, a esenzione o a rimborso dell’imposta sul valore aggiunto, anche in assenza di disposizioni di diritto nazionale che prevedano un siffatto diniego, se è dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che tale soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare, tramite l’operazione invocata a fondamento del diritto di cui trattasi, a un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto commessa nell’ambito di una catena di cessioni. (SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione) 18 dicembre 2014 Nelle cause riunite C‑131/13, C‑163/13 e C‑164/13)
Ancora giurisprudenza della Corte Europea Corte giustizia UE sez. V 09/10/2014 n. 492 che “Sarebbe quindi contrario al principio di certezza del diritto che uno Stato membro, il quale ha stabilito i requisiti ai fini dell’applicazione dell’esenzione dall’IVA di una cessione intracomunitaria, fissando in particolare un elenco di documenti da presentare alle autorità competenti, ed ha accettato in un primo tempo i documenti presentati dal fornitore in quanto prove giustificative del diritto all’esenzione, possa successivamente obbligare il fornitore medesimo ad assolvere l’IVA relativa a tale cessione allorché consti che, in particolare, a causa di una frode commessa dall’acquirente di cui il fornitore non era e non poteva essere a conoscenza, i beni in questione non hanno in realtà lasciato il territorio dello Stato membro di cessione (v. sentenza Teleos e a., EU:C:2007:548, punto 50). In effetti, secondo la giurisprudenza della Corte, in una situazione del genere, sebbene apparentemente non esista alcuna prova tangibile che permetta di ritenere che i beni di cui trattasi sono stati trasferiti al di fuori del territorio dello Stato membro di cessione, obbligare il soggetto passivo a fornire una tale prova non garantisce la corretta e semplice applicazione delle esenzioni dall’IVA. Al contrario, un obbligo siffatto lo pone in una situazione di incertezza circa la possibilità di applicare l’esenzione sulla cessione intracomunitaria o circa la necessità di includere l’IVA nel prezzo di vendita (v. sentenze Teleos e a., EU:C:2007:548, punti 49 e 51, nonché Mecsek-Gabona, EU:C:2012:547, punto 41).
Le condizioni per ottenere il riconoscimento della propria buona fede e dell’estraneità alla frode fiscale sono
- a) “l’esatto adempimento degli obblighi formali di legge richiesti dallo Stato membro per la regolare esecuzione della operazione (come la emissione e ricezione di una fattura dotata dei prescritti requisiti formali o le annotazioni nei registri contabili)”
- b) avere adottato ogni misura ragionevolmente esigibile ad un operatore commerciale al fine di assicurarsi di non partecipare ad operazioni illecite e provare la propria ignoranza incolpevole delle intenzioni frodatorie attuate dall’acquirente o da terzi.
In proprio favore il contribuente dovrà invocare i principi di certezza del diritto in base al quale non può essere collocato in una situazione di incertezza in ordine all’applicazione delle norme tributarie, oltre ogni ragionevole dubbio e di proporzionalità con riferimento a quello che deve essere il comportamento esigibile dall’operatore commerciale comunitario.
Sulla specifica esperienza dello studio dott. Giacomo Obletter
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