parte IV – land grabbing e guerra dei semi

Come riferito nella terza parte, come i miei due lettori ricorderanno, prima di andare oltre e giungere alle conclusioni dobbiamo affrontare un altro aspetto, quello della guerra, che non è solo quella convenzionale, ma soprattutto la guerra che ogni giorno viene condotta silenziosamente contro l’ambiente.
Qualcuno potrebbe dire che nei nostri paesi occidentali la guerra non c’è più dal 1945 e che sono passati 70 anni senza guerre nell’Europa occidentale, e così il modello interpretativo proposto sarebbe fallace. Ma è altrettanto facile replicare che gli effetti di un’economia globalizzata consentono di riferire gli effetti della guerra a zone diverse dai luoghi di produzione della maggiore ricchezza, tipo l’Europa o Fiabilandia, e consentono di volgere lo sguardo altrove ed a nuove forme di conflitto: “sono soltanto 10 i paesi che vivono in pace nel mondo: il Global Peace Index 2016 (GPI) segnala l’inevitabile realtà del nostro pianeta. In Medio Oriente e Nord Africa aumenta il livello di allerta, soltanto in America centrale e Caraibi il tenore di vita è migliorato nel 2016. Terrorismo, crimini, focolai e i conflitti reali non consentono al pianeta di vivere serenamente. E 13,600 miliardi di dollari per le guerre sono troppi rispetto alle missioni di pace, denuncia il GPI.” (http://www.repubblica.it/solidariet…).
Ci si può divertire ad indagare oltre (es. http://www.documentazione.info/conf…) ma le guerre nel mondo attualmente sono tantissime.
Ma c’è un’altra guerra strisciante, diversa da quella definita dall’enciclopedia Treccani come “Fenomeno collettivo che ha il suo tratto distintivo nella violenza armata posta in essere fra gruppi organizzati”, ed è la guerra che tutto il mondo subisce a causa della politica della grande industria alimentare e chimica che sta distruggendo il pianeta.
Uno di questi è il fenomeno del land grabbing sul quale ha indagato con il libro inchiesta omonimo il giornalista italiano Stefano Liberti.images (1)
Si tratta di ditte spesso gigantesche, capaci di far viaggiare i prodotti da un capo all’altro del pianeta, sfruttando le zone dove la manodopera è più economica, le terre più fertili e i controlli meno stringenti.
Il processo di concentrazione della produzione del cibo è cominciato alcuni decenni fa negli Stati Uniti e si è espanso in tutto il mondo verso la fine del secolo scorso. A partire dal 2007, ha subito un’ulteriore accelerazione in seguito all’irrompere sulla scena della grande finanza. Scottati dalla crisi del settore azionario classico e dallo scoppio della bolla immobiliare seguita all’implosione dei mutui subprime negli Stati Uniti, molti gestori di fondi d’investimento e banche d’affari hanno cominciato a puntare sulla produzione e sulla commercializzazione di beni alimentari.
Il ragionamento alla base di questo mutamento era semplice: la popolazione mondiale è in crescita; in alcuni paesi sviluppati e molto popolati come la Cina stanno cambiando le diete, con un aumento esponenziale del consumo di carne; le terre su cui produrre gli alimenti destinati all’alimentazione umana e ai mangimi per animali non sono infinite.
L’insieme di questi fattori rende l’investimento nel settore particolarmente allettante: in tempi di penuria, chi ha le leve della produzione può garantirsi ritorni a più zeri.
Il cibo è diventato il nuovo terreno di conquista del capitale speculativo.
L’inedita alleanza tra grandi gruppi alimentari e fondi finanziari ha portato allo sviluppo di quelle che definisco aziende-locusta: gruppi interessati a produrre su larga scala al minor costo possibile, che stabiliscono con l’ambiente e con i mezzi di produzione – la terra, l’acqua, gli animali d’allevamento – un rapporto puramente estrattivo.
Tali ditte hanno come unico orizzonte il profitto, nel più breve tempo possibile. E sfruttano le risorse in modo intensivo, fino al loro totale dissipamento: esaurite le capacità di un luogo, passano oltre, proprio come uno sciame di locuste.”
Parlando del suo nuovo lavoro il giornalista riferisce: “Questo libro è il seguito ideale del mio lavoro precedente sul land grabbing, la massiccia ondata di acquisizioni di terre in tutto il Sud del mondo, cominciata anch’essa all’indomani della crisi del 2007. Durante le ricerche per quel libro e dopo la sua uscita, ho osservato come l’interesse dei gruppi finanziari non si limitasse alle terre arabili, ma prendesse di mira tutto il settore del cibo. Ho così elaborato questo progetto, che oggi ha l’ambizione di ricostruire e raccontare il sistema alimentare globale.
Per fare questo, il giornalista, nel suo libro “i Signori del Cibo” ha indagato la filiera di produzione e commercializzazione di quattro prodotti specifici: la carne di maiale, la soia, il tonno in scatola e il pomodoro concentrato. “Si tratta della carne più consumata al mondo, del legume che registra la crescita più spettacolare, del secondo prodotto del mare più commercializzato (dopo i gamberetti) e del frutto più diffuso del pianeta. Si tratta, soprattutto, di elementi fondanti della dieta di gran parte della popolazione mondiale.
Avrei potuto scegliere altri prodotti, magari la stessa carne di alligatore di cui la cameriera di Albany ignora la provenienza. Ho scelto questi perché mi sembravano esemplari delle trasformazioni del mondo in cui viviamo. Tutti e quattro riuniscono, in forme e modi diversi, le caratteristiche principali del nuovo sistema globale del cibo: grande concentrazione nelle mani di pochi, coinvolgimento della finanza e lontananza tra il luogo di produzione e quello di consumo.
L’obiettivo di questo libro è fotografare una tendenza e dare conto di un fenomeno. Ma anche lanciare un monito. Perché l’attuale sistema alimentare globalizzato non è sostenibile. Le risorse disponibili sul pianeta non sono sufficienti. È necessario cambiare abitudini, modificare i costumi alimentari, riflettere sull’assurdità di filiere lunghe decine di migliaia di chilometri e di cibo venduto a costi infimi. (…) Nel corso dei miei viaggi in giro per il mondo, ho incontrato persone di ogni tipo: dai piccoli coltivatori di soia nella Manciuria cinese messi fuori mercato dalle importazioni brasiliane al più grande produttore di carne suina al mondo, dai pescatori senegalesi in crisi ai presidenti di grandi aziende di tonno in scatola, dai gestori della ditta cinese che produce pomodoro concentrato nelle terre contese dello Xinjiang ai contadini ghanesi rimasti senza lavoro proprio a causa di quel concentrato venuto da lontano, solo per portare alcuni esempi.”
Cosa c’è di diverso da una guerra, nella quale la parte più forte invade e depreda la parte più debole?
Ma da dove pensate che scappino i milioni di profughi che stanno invadendo l’Europa? Hanno tolto loro la terra, li hanno privati della pace, visti i tantissimi conflitti sparsi per Africa e Medio Oriente, li hanno messi nelle condizioni di non poter più lavorare la terra né tantomeno vendere i loro prodotti, e che devono fare questi? Scappano, emigrano come gli abitanti di Storilandia verso Fiabilandia, ed il bello che siamo noi che li andiamo a prendere con le navi, perché è nostro preciso interesse completare il ciclo credito, crisi, guerra con l’ultimo atto che è l’immigrazione di massa.
Ma non è l’unica guerra-non guerra in corso. Nel 2016 nasce il più grande colosso mondiale dell’agribusiness, un’operazione record da 66 miliardi di euro per l’acquisizione del gruppo statunitense specializzato in sementi Ogm: Tanto ha pagato la tedesca Bayer per la Monsanto,e che ora controllerà significative quote di mercato per pesticidi e sementi.
Leggo da http://www.senzatregua.it/lasse-bay… : “L’acquisizione di una multinazionale da parte di un’altra, specie in questo periodo storico, è all’ordine del giorno. Il dato che fa riflettere, però, è che tra le cinque più grandi operazioni dell’ultimo anno, tre riguardano lo stesso settore, ovvero quello agricolo, o per essere più precisi quello agrochimico. Infatti dopo l’asse “Dow Chemical-Du Pont” e quello “ChemChina-Syngenta” poche settimane fa si è conclusa una delle più incredibili operazioni di acquisizione della storia, con la Bayer, nota azienda farmaceutica tedesca, che con 66 miliardi di euro ha portato a casa la Monsanto, leader mondiale nella produzione di sementi OGM. Tutto ciò è avvenuto a pochi giorni dal voto al Parlamento Europeo sul Glifosato, composto chimico alla base di un erbicida, il Roundup, che da sempre è sotto accusa per la sua tossicità e che è utilizzato in tutto il mondo, di produzione proprio della Monsanto. La Germania si è formalmente astenuta dal voto, cosa che è valsa come un via libera per la commercializzazione del prodotto permettendo alla sua azienda leader nel settore di compiere questo tipo di operazione. Il via libera all’utilizzo di Glifosato non è l’unico problema di questo nuovo asse. Infatti questa fusione porta la Bayer a possedere circa il 30% della produzione di sementi mondiali e il 24 % della produzione mondiale di pesticidi. Ma se l’alimentazione è alla base della nostra salute, possiamo lasciarla in mano a chi fa del profitto su pesticidi e prodotti chimici il suo cavallo di battaglia?
La conseguenza di questa acquisizione sarà un vero e proprio attacco alla nostra alimentazione e alle condizioni di vita della classe contadina. Si stima un aumento dei costi dei semi di circa 4 volte l’attuale prezzo e di conseguenza una crisi nel settore, dove le più piccole realtà saranno inglobate da società agrarie sempre più grandi ed in mano a sempre meno persone. In Europa, specie nella zona mediterranea, ciò sarà un duro colpo per paesi come Italia, Spagna e Grecia, ovvero paesi con una forte biodiversità, patrimonio che è da sempre minacciato da politiche filo-padronali che nell’ultimo periodo si stanno intensificando con lo spettro del TTIP alle porte (anche se temporaneamente saltato), la ratifica degli accordi CETA e con una serie di politiche europee sull’agricoltura volte a favorire i grandi colossi e sempre meno le piccole realtà agricole. Il silenzio dell’Europa (che nella PAC, la politica agricola comunitaria, si professa “green” e sempre più volta a incentivare l’agricoltura “bio”) dimostra il suo volto capitalistico più spietato dove le logiche del profitto si spingono anche oltre i confini della salvaguardia della vita umana.
È necessario in ogni caso un chiarimento per comprendere il significato di quanto avvenuto. Negli ultimi anni l’abbandono di un’analisi dell’imperialismo, e dunque della consapevolezza della natura “strutturale” di episodi come questa acquisizione, ha portato al proliferare di teorie del complotto che anche in questi giorni si sono riproposte nel commentare la fusione Bayer-Monsanto, ma che in nessun modo spiegano la reale natura di questo fenomeno. Quello che abbiamo sotto gli occhi è né più né meno che un aumento della centralizzazione e concentrazione del capitale in singole aziende monopolistiche. È un processo già noto, studiato a suo tempo da Lenin ne “L’imperialismo”, e che in tempo di crisi subisce ulteriori accelerazioni. I pochi soggetti monopolisti generati da questa dinamica sono così grandi da poter modellare a proprio piacimento la produzione e il mercato mondiali (nel nostro caso, la produzione delle scorte alimentari mondiali!), costringendo i consumatori o altri produttori (in questo caso i contadini) a comprare i loro prodotti ai loro prezzi.”
A chi si chiede perché l’Unione Europea non prenda una posizione su questa fusione aziendale, che effettivamente consegna una gigantesca fetta di settori produttivi fondamentali nelle mani di una singola azienda privata, andrebbe ricordato che l’Unione Europea è una organizzazione imperialista, le cui redini sono in mano ai grandi monopoli del continente, e che nacque proprio per agevolare la formazione di grandi monopoli europei attraverso l’istituzione di un mercato comune. E anzi, l’acquisizione della Monsanto da parte di un grosso monopolio tedesco, la Bayer, è sintomo di un mutamento dei rapporti di forza interni allo schieramento USA-UE, con la Germania e i monopoli tedeschi che acquistano sempre più forza. A dover essere messo in discussione non è tanto il singolo evento, per quanto significativo, ma è nel suo complesso il sistema economico che oggi consente a una azienda di possedere un terzo della produzione mondiale di sementi, consegnando in pochissime mani private il potere di decidere come, cosa e quanto potremo mangiare.”
Un tribunale informale internazionale costituitosi lo scorso ottobre a L’Aia – con il sostegno di esponenti della società civile e di organizzazioni ecologiste quali Greenpeace, Slow Food e la fondazione “Navdanya” di Vandana Shiva – ha emesso un’opinione legale consultiva sulla Monsanto, la multinazionale del settore agricolo leader nella produzione di pesticidi e sementi transgeniche (i cosiddetti “OGM”, organismi geneticamente modificati). “
Il parere consultivo dei giudici internazionali del Tribunale Monsanto confermerebbe la pericolosità di sostanze chimiche tossiche come Roundup (glifosato) e Basta (glufosinato), neonicotinoidi, atrazina, e altri fitofarmaci che causano la moria di api, l’inquinamento dei suoli, fenomeni di desertificazione, nonché l’aumento di malattie quali cancro e difetti congeniti. Inoltre, i giudici hanno sottolineato come le multinazionali abbiano creato “miti e propaganda” su prodotti falsamente considerati “necessarie per sfamare il mondo”. Multinazionali che attraverso fusioni, acquisizioni e accordi – come quelli tra Monsanto-Bayer, Dow-Dupont e Syngenta-ChemChina – risulteranno raggruppate in monopoli nella produzione di semi e sostanze chimiche, in grado di controllare il settore agricolo di molti paesi, con enormi conseguenze per i piccoli agricoltori. I semi sono stati dichiarati “un’invenzione aziendale”: un prodotto dell’ingegneria genetica in mano al monopolio delle multinazionali, che controllano i semi attraverso i diritti di proprietà intellettuale (ovvero i brevetti) e raccolgono royalties negando agli agricoltori il diritto di condividere e conservare i semi. Si tratta di pesanti capi di accusa, contro un modello di agricoltura industriale basato sulle monocolture, l’ampio uso della chimica e di sementi geneticamente modificate.”
Potremmo continuare a lungo sull’argomento, anche allargare lo sguardo alla distruzione sistematica dell’ambiente sotto altre forme (non manca il materiale, e suggerisco di guardare il docufilm “Domani” di di Cyril Dion e Mélanie Laurent, ampio e veramente interessante su tanti altri risvolti) ma quel che preme evidenziare che oggi la guerra, intesa nel suo significato più pratico ed intrinseco, viene condotta quotidianamente, in altre forme, ed è al servizio del ciclo finanziario nel quale ineluttabilmente siamo conglobati. (segue)


Categorie:Crisi bancarie in Italia

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